"Suona antico ma non lo è": nel cuore di Napoli arrivano il quartetto Delfico e l'oboista Fabio D'Onofrio.
La Fondazione Pietà dei Turchini prosegue la rassegna Suona antico ma non lo è presentando formazioni cameristiche di livello internazionale con programmi accattivanti. In tale cornice abbiamo potuto ascoltare i bravi musicisti del quartetto Delfico affiancati dall’oboista Fabio D’Onofrio. Il concerto proponeva un viaggio immaginario nelle corti del settecento europeo cercando legami e contraddizioni nella produzione dei maggiori compositori dell’epoca, dando come punto di riferimento la città musicale per eccellenza (almeno nell’immaginario collettivo), ovvero Vienna. Il viaggio ha inizio con il quartetto n. 6 in la maggiore di Antonio Sacchini, eminente rappresentante della scuola napoletana. Operista ed autore di musica da camera, Sacchini debuttò al Teatro S. Carlo con l’opera Andromeda e fu uno degli allievi più brillanti di Francesco Durante. Studiò a Napoli al Conservatorio di S. Maria di Loreto ed oltre ad esser stato attivo nella città partenopea fu per diverso tempo a Londra ed a Parigi. Il quartetto, di grande bellezza e freschezza compositiva, è interpretato con grande rigore e passione dalla formazione Delfico. I tre movimenti di cui si compone l’opera sono ben elaborati e gli elementi caratterizzanti son posti in rilievo con semplice eleganza. In particolare colpisce dell’opera la dolcezza della vena melodica pur nella sintesi del contrappunto e nel rincorrersi dei temi dell’affascinante fugato.
L’iter immaginario prosegue con un quartetto in si bemolle maggiore di Johann Baptiste Vanhal, autore molto celebrato in vita, particolarmente prolifico eppure non giustamente riconosciuto dopo la morte. Vanhal, di origine ceca, figlio di agricoltori, ebbe ai suoi tempi contatti con i più grandi nomi della musica, da Mozart ad Haydn e Dittersdorf, ed il suo catalogo è particolarmente ricco di musica strumentale, genere in cui eccelse; i due lavori eseguiti dai musicisti del Delfico e dall’oboista D’Onofrio son misurati e non privi d’un certo pathos melodico.
Fa da spartiacque all’esecuzione dei quartetti di Vanhal un’opera molto nota di Beethoven: il quartetto n. 2 op. 18 in sol maggiore. Ovviamente la dialettica fra le parti si fa più tesa e ricca di artifici armonici e contrappuntistici; in generale le linee di fondo della struttura della composizione risultano meno vicine ad un concetto della musica come “divertissement” . Tutto ciò è evidente sin dall’incipit della composizione, nervoso ed apparentemente amorfo, eppure molto studiato nella cornice dell’architettura formale. Nell’eseguire queste pagine forse il gruppo non ha dato il meglio di sé, anche se lo scherzo e l’allegro finale riescono a trascinare il pubblico in un applauso sincero. Sta di fatto che la scrittura del grande musicista tedesco rivela molte spigolosità proprio nei suoi quartetti, per quanto abbondi di idee davvero felici in queste raccolte cameristiche.
Il programma si chiude con l’esecuzione di un altro lavoro di Vanhal: il quartetto n. 6 in do maggiore, eseguito nuovamente assieme a Fabio D’Onofrio. Il pubblico applaude calorosamente l’ensemble che esegue come bis una siciliana di D. Cimarosa che stupisce ed ipnotizza tutti i presenti per la leggerezza malinconica della melodia e le morbide armonie tanto da chiedere al gruppo di replicarla nuovamente. Va sottolineato il grande affiatamento del quartetto Delfico che si è dimostrato molto equilibrato nell’interpretazione di Sacchini e ricco di possibilità in altre pagine proposte, con un plauso particolare per l’oboista D’Onofrio che rivela ancora una volta un suono molto studiato e mai deludente, sincero e vigoroso interprete dei grandi classici del settecento musicale europeo.